mercoledì 9 dicembre 2015

Herjolfsnes challenge: il cappuccio Nørlund 78 – D10606 / Herjolfsnes challenge: the hood Nørlund 78 – D10606

La mia prima Herjolfsnes Challenge: il cappuccio Nørlund 78 – D10606 /
My first Herjolfsnes challenge: the hood Nørlund 78 – D10606. 
Le sfide collettive mi piacciono particolarmente: durante la Manuscript Challenge, ho avuto la conferma che condividere i progressi del mio lavoro e allo stesso tempo seguire il processo creativo degli altri partecipanti è non solo un ottima occasione per imparare qualcosa di nuovo e migliorarsi, ma anche per lavorare con più entusiasmo sul progetto. Per questo, non ho esitato a partecipare alla nuova “sfida”, lanciata questa volta da Elina di Neulakko, la “Herjolfsnes challenge” 
Piccoli cappucci erabo usati dalle donne anche in Italia. /
Small hoods wereused by women in Italy too.
351v, part Latin 757 Missale et horae ad usum
Fratrum Minorum. 
Lo scopo di questa sfida è riprodurre con un grado piuttosto alto di fedeltà uno dei reperti medievali rinvenuti in Groenlandia, uti
lizzando come fonti principalmente “Woven into the Earth” di Else Østergård (che ho recensito qui  nel lontano 2013) e “Medieval Garments Reconstructed”, un libro realizzato dalla stessa autrice, che contiene gli schemi dettagliati con le misure dei reperti.
Per scaldare un po’ i muscoli prima di intraprendere un progetto più ambizioso, ho deciso di iniziare con un cappuccio, e ho scelto il Nørlund 78 – D10606. Il mio obiettivo, per questa sfida, era rispettare tutte le caratteristiche costruttive del reperto, cercando di aderire il più possibile alle forme e alle misure originali e di utilizzare i tipi di cucitura documentati dai reperti: rispetto all’opera di rievocatori e rievocatrici esperte, che si ripropongono di iniziare la sfida partendo dalla selezione della lana per poi procedere alla filatura e alla tessitura, il mio obiettivo è ben più modesto.

La mia stoffa, twill 2/2. / My fabric, 2/2 twill. 
I really enjoy group challenges: during the Manuscript Challenge, I had the confirmation that sharing the progress of my work and at the same time following other participants creative process is not only a great occasion to learn something new and improving my skills, but also a good way to gain more enthusiasm for my project. Therefore, I didn’t hesitate to join a new challenge, introduced by Elina from Neulakko, the “Herjolfsnes challenge” . The goal is to reproduce one of the original garments from Greenland with a good level of accuracy, using as main sources “Woven into the Earth” by Else Østergård (you can check out my review from 2013 here  but it’s only in Italian) and “Medieval Garments Reconstructed”, its twin, that features schemes, patterns and detailed measures of the garments. 
To warm up a bit before starting with a more ambitious project, I decided to begin with a hood, and I chose Nørlund 78 – D10606. My goal, for this challenge, was to respect all the features of the original find, matching as much as possible its shapes and measures and using the same seams: comparing it to the projects of skillful re-enactors, that are going to start their challenges from the selection of wool, to spin it and weave it, my goal is very humble. 

Il disegno originale a matita, le alterazioni
con gli spilli.
The original pattern drawn with pencil, alterations
with pins. 
Ho iniziato riproducendo su stoffa il cappuccio nelle dimensioni originali fornite da “Medieval Garments Reconstructed” (MGR), e ho dovuto apportare qualche modifica:
1 - ho ridotto l’apertura del viso di un paio di centimetri, perché era troppo largo per me
2 -  ho rimpicciolito la parte posteriore in modo che fosse più stondato e più aderente alla testa: anche il reperto sembra avere questa forma
3 - ho aggiunto 4 centimetri alla lunghezza della parte frontale della foggia, sotto il collo, per essere sicura che il cappuccio coprisse la scollatura del mio vestito blu
4 - ho eliminato la punta prominente della foggia perché risultava troppo larga per me sulle spalle.
Ho mantenuto invece la forma del cappuccio al centro della testa, in particolare la forma a “corno” della parte frontale, che si nota in gran parte dei reperti, l’ampiezza molto ridotta dell cappuccio sulle spalle (i due gheroni infatti sono solo 8,5 cm) e il collo molto aderente, nel quale riesco a passare grazie all’elasticità della stoffa. 

First, I reproduced the pattern on some scrap fabric in its original dimensions as given by “Medieval Garments Reconstructed” (MGR), and I had to make a few alterations (check out the figure for a clearer explanation):
1- I reduced the face opening of 2 cm, because it was too large for me
2- I reduced the back part of the head and made it more rounded and more fitted to the head: also the original hood seems to have this shape.
3- I added 4 cm to the length of the shoulder part under the neck, to be sure the hood covers the neck of my blue dress
4- I deleted the protruding part under the neck, because this way it was too big for me on the shoulders.
I kept the shape of the top of the hood, expecially the “horn” in the front, since it’s typical of many finds, very narrow shoulders (the side gores are only 8,5 cm) and the fitted neck: I can pass through it thanks to the elasticity given by the twill. 

Il cappuccio indossato: sicuramente apprezzate il mio
 maglione molto medievale! /
The hood: I'm sure you appreciate my very medieval sweater!
Il reperto originale è di vadmal, una stoffa di lana prodotta in Groenlandia, con trama a twill 2/2: la lana che ho utilizzato io è piuttosto diversa dall’originale, ma è comunque un twill 2/2. Il colore è rosa, e l’ho trovata a un mercatino: in totale, ne ho consumati 100 x 65 cm, facendo combaciare la direzione del twill dei gheroni e del cappuccio (ma commettendo il peccato veniale di orientare le diagonali del mio twill da in alto a sinistra a in basso a destra per chi guarda, ovvero nella direzione opposta a quella dei reperti). La coda, o “liripipium”, è costituita da 4 parti come nell’originale, ma il punto di giuntura è determinato dalla lunghezza della mia stoffa e non coincide: è lungo circa 70 cm e argo 5,5 cm, come l’originale. 
Arrivata al momento di cucire, ho  cercato di riprodurre in particolar modo le cuciture tipiche dei reperti della Groenlandia: per la prima volta ho anche usato il filo di lana, invece di quello di lino. 
- Cuciture principali: punto indietro (anche sei nei reperti non è specificato e probabilmente si tratta di un punto diverso), i margini, di 8-9 mm, sono stati aperti e schiacciati poi fissati con il sottopunto, senza aggiunta di filo di riempimento (filler thread)
- Cuciture dei gheroni: dall’esterno con sottopunto, con i margini rifiniti all’interno con sottopunto
- Apertura del viso: ho rispettato le specifiche informazioni del reperto. L’orlo è di 7 mm, fermato da sottopunto, ed è rinforzato e decorato da due file di “stab stitch”. In molti reperti l’orlo intorno all’apertura del viso è rinforzato dalla presenza di uno o due fili di riempimento: io ne ho utilizzati due di lana tinta da me con un secondo bagno di robbia, il cui colore è molto simile a quello della stoffa.
- Finitura delle spalle: ho rispettato anche qui le caratteristiche del reperto, lasciando 9 mm di orlo, fissato da sottopunto, e completato da due file di “stab stitch”. Ho inserito anche qui due fili di riempimento, ma non è chiaro se nei reperti fossero presenti anche in questa posizione. 
Per la prima volta mi sono resa conto della diffferenza tra “running stitch” (punto filza) e “stab stitch”, osservando anche il lavoro di altri partecipanti alla Herjolfsnes Challenge: li ho schematizzati nella figura, che dovrebbe essere più comprensibile della mia spiegazione. La caratteristica principale dello “stab stitch” dei reperti della Groenlandia è che l’ago si muove sempre in diagonale attraverso la stoffa, creando sul dritto e sul rovescio due file di “running stitch”, in cui tutti i punti si toccano. È una finitura secondo me molto bella esteticamente, e anche molto robusta. 
La finitura dell'apertura del viso: due file di stab stitch (vista dall'interno in alto e dall'esterno in basso) con sottopunto che fissa il filo di riempimento, tinto con il secondo bagno di robbia. / The face opening finishing: two rows of stab stitches (from the inside on top, from the outside below) with overcast stitches that secure the filler threads, plant dyed with a second bath of madder.

Rifinitura dell'orlo con la prima serie di "stab stitch". /
Finishing the hem with the first row of stab stitch. 

The original hood is made of vadmal, a typical Greenlandic wool fabric, woven in 2/2 twill: the woll I used is quite different from the original, but it’s still a 2/2 twill. It’s pink and I found it in a charity shop: I used 100 x 65 cm of it, matching the twill lines of the hood and the gores (but actually mistaking the direction of the twill, since my lines go from top left to bottom right for who watches, the opposite way than the finds). The liripipe is made in 4 pieces like the original, but they are joined according to the necessity of my fabric and doesn’t match the original, but it’s 70 cm long and 5,5 cm wide like the find. 
When time for sewing came, I tried to reproduce the typical seams of the Greenland finds, and for the first time I used woolen thread instead of linen thread. 
- Main seams: back stitch (it’s not explained in detail in the books, but probably a different stitch was used), the seam allowance is 8-9 mm and has been opened, pressed and folded with overcast stitches.
- Gores: they were sewn from the outside with hem stitch, the seam allowance is folded on one side with overcast stitches.
- Face opening: I respected the specific information about the find. The seam allowance is 7 mm, folded with overcast stitches and reinforced with 2 rows of stab stitches. In many finds the hem around the face is reinforced with filler threads, so I put 2 threads of pink wool, plant-dyed by me with a 2nd bath of madder whose color matches the fabric.
- Shoulder finishing: I respected the original features of the hood here as well, leaving a 9 mm seam allowance folded down with overcast stitches and 2 rows of stab stitches. I decided to put here as well 2 filler threads, but it’s not clear if they were used in this position in any of the finds.
For the first time I thought about the difference between “running stitch” and “stab stitch”, thanks to other partecipants’ work for the Challenge as well: I made a small scheme to show better. While stab stitching, the needle passes through the fabric in a diagonal line and makes 1 lines of running stitches on both sides of the fabric, because every stitch touches the next one. It’s a very good looking finishing, and very strong too.

Running stitch, stab stitch. 
Il cappuccio è stato un piccolo “svago” nelle intense settimane che hanno preceduto l’evento di ricostruzione storica “La Spezieria di Diotaiuti”, un progetto al quale lavoro insieme al mio gruppo Civitas Alidosiana da più di un anno: grazie allo studio degli originali quaderni di bottega dello speziale imolese Diotaiuti, abbiamo potuto ricostruire la sua bottega e la grande quantità di merci presenti. Potete trovare ulteriori informazioni e una ricca galleria fotografica sul nostro sito
Come vedete sono riuscita a completare il cappuccio in tempo per indossarlo durante l’evento! 

The hood has been a small diversion in the intense weeks before the historical reconstrucion event “La Spezieria di Diotaiuti” (Diotaiuti’s apothecary shop), a project I’ve been working on together with my group Civitas Alidosiana for more than a year: thanks to the original books of accounts written by the apothecary Diotaiuti, who lived in Imola in the 14th century, we could reproduce his shop and the great amount of wares he sold. You can find more information and a lot of pictures on our website, also in English here
As you can see, I managed to complete the hood in time for the event!

Le mie sfide: l'abito della Manuscript Challenge e il nuovo cappuccio. /
My challengese: the blue dress from the Manuscript Challenge and the new hood.
Foto di Camillo Balossini - tutti i diritti riservati.
Photo by Camillo Balossini - All rights reserved. 
Foto di Camillo Balossini - tutti i diritti riservati.
Photo by Camillo Balossini - All rights reserved.

giovedì 24 settembre 2015

Un banco da falegname del XIV secolo / A14th century carpenter's workbench

Questo post non tratta cucito, ma è legato all’attività artigianale di Francesco, la falegnameria.
This post is not about sewing, but it talks about Francesco’s craft, woodworking. 
… and we really hope our English will be understandable even if we don’t know very well specific words.
Banco da lavoro / Workbench

La descrizione del banco / The description of the workbench
L’oggetto in questione è composto da due assi in castagno bloccate assieme tramite due pioli e da due traversi inchiodati e forati; nei fori sono poi inserite le gambe del banco fatte in legno di nocciolo. Per facilitare il trasporto con i nostri mezzi, due gambe sono estraibili mentre due sono fisse.
Per fissare le assi o la legna sul banco, sono stati realizzati due tipi di fermi: 4 sono in ferro battuto in forgia mentre due in legno sono stati fatti al tornio (storico).
I pioli in ferro hanno una parte appiattita in modo da potersi incastrare ancora meglio al legno. Tutti i fermi hanno lo stesso diametro di circa 1,6 cm e  possono essere inseriti nei vari fori realizzati sul banco; sicuramente ne saranno fatti altri per poter utilizzare diverse misure di assi grezze.

The workbench is made with 2 boards in chestnut, placed side by side and fixed together with 2 rods and 2 nailed transverse planks with holes, in which are put the legs of the workbench made in hazel. To make it easier to move with our car, 2 legs can be took off while the other 2 are secured.
To block the planks or the wood on the workbench, I realized 2 different kind of rods: 4 are in forged iron while 2 are in turned wood. The iron rods have a flattened part, useful to secure better the planks. All the rods have the same diameter (about 1,6 cm) and can be inserted in the different holes made on the workbench: I will make more of them so I can work with different sizes of planks. 


Le fonti / Sources
L’iconografia riportante questo tipo di strumento copre diversi secoli (XIV-XVI sec.) nonostante alternative al banco siano spesso utilizzate specialmente quando l’asse era molto lunga: un paio di cavalletti erano decisamente più comodi, così come due pali scavati erano sicuramente più versatili e adattabili a diversi tipi di tavole o assi.

Français 2092, fol. 75v, Construction de Saint-Denis-de-l'Estrée
Latin 511, fol. 5, Construction du Temple
The sources showing this kind of tool are spread through many centuries (14th – 16th century), despite there are different options, expecially when the boards were very long: a couple of sawhorses are definetly more convenient, and also 2 poles with slots are more adaptable to different dimensions of boards and planks. 


1423,Noah building the Ark in the Bedford Hours, British Library, London, UK. Manuscript Add. MS 18850, folio15v


1461,Spanish Book of Hours,The British Library,
London, UK. Manuscript Add. 18193, folio 48v
Utilizzo del banco
Per lavorazioni di assi più piccole questo tipo di banco risulta indispensabile poichè non è possibile fissare i pezzi di legno più corti su due cavalletti, che devono essere un minimo distanti tra loro, mentre con il banco si possono facilmente tenere fermi, realizzando pioli più bassi  o spessori per alzare la tavola da lavorare alla giusta altezza e fissarla senza troppa difficoltà.
Hausbuch der Mendelschen
Zwölfbrüderstiftung, Band 1. Nürnberg
1426–1549. Stadtbibliothek Nürnberg,
Amb. 317.2°
Vediamo quindi come questo banco, realizzato in piccole dimensioni, si possa collocare in un ambiente “casalingo” o comunque chiuso, ma  possa anche essere usato, se di dimensione adeguata, nei grandi cantieri, luoghi in cui le altre soluzioni trovano quasi esclusivamente il loro impiego.

To work on smaller pieces this kind of workbench is necessary, because it’s not possible to secure shorter planks on 2 sawhorses, that have to be at least a little far from each other, while with the workbench they can be easily secured, making shorter rods or shims to lift the plank and easily fix it.
We can see that this workbench, which is made in small scale, can be used in a “domestic” or closed setting, but it can also be used, if it’s in an adequate dimension, in big building sites, places where the other tools are most commonly used. 





1390, Pietro di Puccio, campo-santo Pisa



sabato 12 settembre 2015

Seta e perle per Damisella / Silk and pearls for Damisella

Questo abito e i suoi accessori sono stati progettati e realizzati per ricostruire il personaggio storico di Damisella Gonzaga, ultima figlia di Luigi Gonzaga, primo capitano del popolo di Mantova: andò sposa a Alidosio Alidosi, detto il Todeschino, il 10 febbraio 1367, portando una cospicua dote, all’altezza della fama e della ricchezza della sua famiglia di origine.

This dress and its accessories have been planned and realized to re-enact the historical character of Damisella Gonzaga, last daughter of Luigi Gonzaga, captain of Mantua: she married Alidosio Alidosi, called the Todeschino, the 10th of February 1367, bringing a conspicuous dowry, up to the reputation and wealth of her family.


Di fronte al Castello San Giorgio di Mantova: "Damisella" è tornata a casa per un giorno.
In front of the Castle of Saint George in Mantova: "Damisella" is back home for a day. 
I materiali
La protagonista dell’abito è sicuramente la seta verde: si tratta di una seta dupioni, venduta come tessuta a mano,  che ho acquistato un paio di anni fa. Dal momento che la seta era troppo sottile e non cadeva bene, dopo molte indecisioni ho deciso di foderare il corpo e la gonna in lana, in modo che desse peso all’abito. Le maniche sono invece state foderate di lino, per non aggiungere troppo spessore e anche perché, indossandolo con la camisa supportiva senza maniche, non volevo avere la lana a diretto contatto con le braccia: la fodera in lino delle maniche sembra essere attestata anche nella “gonna d’oro” della regina Margareta di Danimarca, che presenta anche una fodera di lino sul busto, estesa anche per 40-50 centimeti della gonna.  Per rifinire la scollatura e darle maggiore robustezza ho usato una sottile striscia di taffetà: finiture analoghe sono testimoniate anche da alcuni frammenti di Londra (Textiles and Clothing 1150- 1450, 158s.). Tutte le cuciture sono fatte a mano: quelle esterne in  filo di seta, le cuciture della fodera di lino.
NOTA: la seta tessuta a dupioni probabilmente non è la scelta migliore: suggerirei invece di usare taffetà di seta. 


The materials
Allacciatura laterale a spirale. /
Side spiral lacing.
The protagonist of this dress is for sure the green silk: it’s a dupioni silk which was sold as “hand woven”, and I bought it a couple of years ago. Since the silk was too thin and didn’t fall in a proper way, I decided to line the bodice and gown in wool, in order to get more weight. The sleeves have been lined in linen, to avoid too much thickness and to avoid direct contact with wool on the arms, since I wear this dress with the sleeveless supportive underwear.  The linen lining in sleeves seems to be present also in the “golden gown” of Queen Margareta of Denmark, that is also lined in the bodice and in the gown for 40-50 cm.The neckline has a narrow silk facing in taffeta to strengthen it, according to some finds from London (Textiles and Clothing 1150- 1450, 158s.). All the dress is hand sewn: the external seams are in silk, the ones of the lining are in linen.
NOTE: dupioni silk is probably not the best choice. I would recommend to use silk taffeta instead. 


Nouvelle acquisition latine 1673, fol. 8:
raccolta dei fichi / harvesting figs.
Il modello
Il modello non è la riproduzione fedele di nessuno dei reperti esistenti: si basa in parte sulla “gonna d’oro”, in particolare per la divisione in quattro quarti del davanti e del dietro e per la scelta di non dare forma rettangolare ma trapezoidale a queste parti, richiamando la forma dell’originale, ma si differenzia per la presenza di 4 gheroni che partono dall’altezza dei fianchi, 2 frontali e 2 laterali, necessari per raggiungere l’ampiezza voluta (3.5 m). Le maniche sono ricavate da un’unico pezzo, senza l’inserimento di gheroni, e sul polso hanno la forma “a campanella”, comune per gli abiti ricchi del periodo: non possono mancare i bottoni, 15 per ogni manica. Alcuni dettagli sono stati scelti per renderlo il più coerente possibile con la moda italiana: 
- la scollatura abbastanza pronunciata e rotonda (avrei potuto osare di più e renderla più a barca, ma non volevo rinunciare ad avere il supporto sulle spalle, a causa del peso del vesitito: per una bella analisi sulle scollature, La Cotte Simple );
- l’allacciatura laterale, testimoniata da alcune fonti iconografiche. Per avere una buona chiusura dell’abito, suggerisco di utilizzare un’allacciatura a spirale, testimoniata nelle fonti (a differenza dell’allacciatura a “x”) e molto efficace. Qui “The Zen of Spiral Lacing”  e qui l’articolo di Tasha Kelly. Il cordino è lungo 3 metri, per non doverlo sfilare e infilare ogni volta, ed è tessuto con filo di seta per le asole, con 4 tavolette. Grazie a Mervi per le istruzioni!
Il toile su cui si basa il vestito è quello fatto durante il workshop di cucito.
L’abito è un “primo strato”, da indossare quindi sopra la biancheria intima, al quale spero di aggiungere il prossimo anno un secondo strato sufficientemente ricco.

Dettaglio del cordino dell'allacciatura. /
Detail of the string of the side lacing.
The model
The model is not the faithful replica of any existant garment: it’s partly based on the “golden gown”, expecially for the division in 4 parts of the front and back and for the choice to give a trapezoidal shape instead of a rectangular one to these parts, more like the original, but it’s different because of the 4 hip-heigh gores I needed to have a proper hem size (3.5 m). The sleeves are made in a single piece, without inserting any gore, and have the “bell shape” common in some rich garments of the period: of course there are buttons, 15 for each sleeve. Some details have been chosen to match the Italian fashion best:
- the deep, rounded neckline (I could have dared more and made it more boat-like, but I wanted to have support on the shoulders because of the weight of the dress. For a nice analysis of necklines ,La Cotte Simple ) 
- the side lacing, as shown in some Italian pictures. To have a good lacing, I really suggest to use the spiral lacing, which is portrayed in the sources (the “x” lacing is not) and very effective. Check out the “Zen of spiral lacing” and here a nice article by Tasha Kelly about lacing. The string, which is 3 meters long so I don't have to insert and take it away every time, is tablet woven with 4 tablets, and it's made in buttonholes silk. Thanks to Mervi for the instructions!
The toile I used is the one we made during the medieval sewing workshop I organized in February. 
This dress is a “first layer”, to be worn over the underwear, and I hope I will give it a proper second layer next year. 




1369, Oratorio di S. Stefano, Lentate sul Seveso. Le fanciulle,
figlie della famiglia Porro rappresentata nell'atto di donare
l'oratorio, hanno maniche a campanella e, guardando
attentamente, si vede che indossano anelli nell'indice e nell'
anulare. / 1369, Oratorio of S. Stefano, Lentate sul Seveso.
The young ladies are daughters of the Porro family, portrayed
when donating the oratory. They have bell-shaped sleeves and,
looking carefully, you can see they wear rings in index and
ring finger.



Gli accessori
Un abito non è abbastanza per creare un’immagine coerente di un personaggio, quindi ho cercato di aggiungere anche alcuni accessori per arricchire l’insieme. 
The accessories
A dress is not enough to create a coherent portrait of a character, so I looked for some accessories to improve the ensemble.

- Collana di perle e corallo
Missale et Horae ad usum
 Fratrum Minorum
(1385- 90, BNF Latin 757, 258v.) Fanciulla
con terzolla e collana. / A lady with
a "terzolla" and necklace.
Nelle fonti italiane, e molto meno in quelle straniere che mi è capitato di vedere, ricorrono collane di varie forme: sono le fonti documentarie però a venirci in aiuto informandoci sulle pietre preziose più usate. Io ho scelto corallo (madrepora) e perle, sia perché facilmente distinguibili anche nelle miniature, come quelle dei Tacuina Sanitatis, sia perché esplicitamente menzionati in un documento imolese del 1391, contenete la stima della dote di nozze di Rengarda Alidosi, figlia di Beltrando: «Item una collana di perle facta a poste con coragli in mezo in fili bianchi de seda che pesa onze 2 ½, estimat ducati 30». 
- Necklace in pearls and corals
In the Italian sources, and a lot less in foreign ones I stumbled upon, there are a lot of different necklaces: the written sources can tell us more about the most common gems in use. I decided to use coral (actually madrepore) and pearls, because they can be clearly seen in miniatures, like the ones from Tacuina Sanitatis, and also because they are mentioned in a document from Imola dated 1391, that includes the valuation of the dowry of Rengarda Alidosi, daughter of Beltrando: “A necklace of pearls, made for this occasion, with corals in the middle, on white silk threads: it weights 2 ½ ounces, it worths 30 ducats”. 

- Anelli
Spesso menzionati negli inventari e nelle leggi suntuarie, dovevano essere un accessorio particolarmente apprezzato e diffuso. I due di cui dispongo al momento sono realizzati da Il Gatto e la Volpe sulla base di originali romagnoli: uno è in bronzo e granato, l’altro in argento e smeraldo. 
- Rings
Often mentioned in inventories and sumptuary laws, rings must have been very common and appreciated. The two I have now are made by Il Gatto e la Volpe, after some originals from Romagna: one is in bronze and garnet, the other one in silver and emerald.




- La terzolla: un’ipotesi e un tentativo
La vera impresa di questo outfit è stata l’acconciatura. Da tempo desideravo cercare di ricostruire la misteriosa “terzolla”, copricapo che la Muzzarelli (Guardaroba Medievale, p. 361) definisce «acconciatura a ornamento del capo, così detta perchè fatta con 300 perle» e probabilmente a volte chiamata semplicemente dalle fonti “ghirlanda” o “ghirlanda con perle”. Non ho mai trovato il nome “terzolla” associato da autorevoli studiosi a qualche immagine, ma ho provato a ipotizzare che esempi di questo prezioso copricapo si possano trovare sia in alcune immagini del Missale et Horae ad usum Fratrum Minorum (1385- 90, Nord Italia, Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits, Latin 757) sia in Queste del Saint Graal Tristan de Léonois (1380-1385, Milano, BNF Français 343). Mi sono concentrata sul libro d’ore: dalle immagini mi sembrava di capire con sicurezza che sotto le perle si trovassero due ciocche di capelli, non intrecciati, che si incrociavano sulla fronte, cingendo il viso in modo da coprire le orecchie. Le perle inoltre apparivano separate da spazi regolari, formando delle piccole file, e apparivano semplicemente sospese sui capelli, senza particolari strutture a sostenerle. La prima, ingenua ipotesi che si è subito rivelata fallimentare è stata realizzare semplici file di perle da posare sui capelli, ma in questo modo veniva meno la regolarità mostrata dalla miniatura ed erano estremamente precarie. Serviva qualcosa di fisso a cui attaccarle: una retina. 
1380-1385 BNF Français 343 Queste del Saint Graal
Tristan de Léonois Folio 59. Un altro esempio di terzolla. /
Another source for a terzolla. 
Le retine conservate (cf. Textiles and Clothing 145-149) sembrano essere sempre circolari, ma ho pensato che una retina lunga e stretta che contenesse i capelli si potesse comunque adattare alle mie necessità: facendola di seta scura, di un colore simile a quello dei miei capelli, avrei potuto renderla praticamente invisibile, e il risultato sarebbe stato molto simile alla miniatura. Fatti circa 70 cm di retina, è stato il momento di attaccare le perle: 550 perline di 3-4 mm. Risultano essere quasi il doppio rispetto alle 300 che sembrano dare il nome alla terzolla: probabilmente un maggiore spazio tra le file di perle avrebbe permesso di avvicinarsi al numero ipotetico previsto e di creare file di perle più distinguibili, ma con 38 gradi di temperatura e una settimana per completarla prima di partire per Azincourt non ho avuto cuore e tempo di rimaneggiarla. L’ultimo problema da risolvere era la difficoltà di tenere ferma la retina sulle due ciocche di capelli che, dovendo coprire le orecchie, non potevano essere cucite tutto intorno alla testa.
Alla fine la soluzione è stata cucire dietro alla retina una striscia di tessuto nero, che si potesse facilmente nascondere sotto i capelli scuri, per creare una solida struttura tubolare in cui andare a inserire i capelli (tramite un buco nel tessuto all’altezza della nuca), molto più stabile da fissare grazie a delle spille: grazie di cuore a Nini per il suggerimento! 



Missale et Horae ad usum Fratrum Minorum (1385- 90, BNF Latin 757, 380 r.): la miniatura di riferimento per la terzolla e il risultato finito. / The main reference for the terzolla and the final result. 

 - The “terzolla”: an hypothesis and a try
The really challenging part of this outfit was the headdress. I have been waiting for a long time to reproduce the mysterious “terzolla”, an headdress described by Muzzarelli ((Guardaroba Medievale, p. 361) as a “headdress and decoration for the head, so called because it was made with 300 pearls” (“terzolla” maybe recalls the Italian “trecento”, i. e. 300) and probably called in some sources only “garland” or “garland with pearls”. I never found any authoritative academic who associated this name to a picture, but I thought that maybe some samples of this precious headdress can be found in some pictures from Missale et Horae ad usum Fratrum Minorum (made in 1385- 90 in Northern Italy, Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits, Latin 757) and from Queste del Saint Graal Tristan de Léonois (1380-1385, Milano, BNF Français 343). I focused on the book of hours: from the pictures I would say that clearly under the pearls there were 2 locks of hair, not braided, crossed over the forehead, that framed the face all around, covering the hears too. The pearls seemed to be divided by equal spaces, making small rows, and simply looked suspended over the hair, without any particular structure underneath. The first, naïve try, that immediately became a failure, was making simple rows of pearls to lay over the hair, but this way they weren’t so regularly spaced and very precarious. I needed something fixed and more solid: a hairnet. 
The surviving hairnets (cf. Textiles and Clothing 145-149) are always rounded, but I thought that a long and narrow hairnet that could cover and keep the hair in place would have been suitable for my work: making it in a dark silk thread, a colour that matched my hair, it would have been almost invisible, and the result would have been quite close to the miniature. After netting about 70 cm of hairnet, it was time to sew the pearls: 550 pearls of 3-4 mm each. They are about double the amount that seem to give the name to the “terzolla” (300): probably a bigger spacing between the rows would have worked better, providing an amount of pearls closer to the hypothetical original amount and making more distinguishable rows as well. But there were 38° C in July and only a week to finish it before Azincourt, so I didn’t have the strength or time to change it. 
The last problem I had to solve was to keep the hairnet in place over the locks: since it had to cover the ears, I couldn’t sew it on the head. In the end, the key was to sew behind the hairnet a thin stripe of black fabric, easy to hide under the dark hair locks, to create a tubular structure in which I could put the hair (through a hole in the fabric over the nape): it’s a lot sturdier and easy to fasten using some pins. Thanks a lot to Nini for this suggestion!

Mi riempie di soddisfazione vedere questa foto e sapere finalmente che tutti i vestiti che indossiamo sono stati fatti da noi. / It's really satisfying to look at this picture and finally know that all the clothes we are wearing have been made by us. 


martedì 2 giugno 2015

I vestiti nuovi di Todeschino / Todeschino's new clothes

I vestiti nuovi di Todeschino, un lavoro a 4 mani portato avanti da me e Francesco :)
Todeschino's new clothes, a 4-hands work by me and Francesco :)




Nouvelle acquisition latine 1673, fol. 49,
end of 14th century, Milano. 

Il pourpoint o giubba
All’abito che abbiamo realizzato viene generalmente dato l’altisonante nome francese di pourpoint, termine che deriva probabilmente dal latino perpunctus, “cucito attraverso”, derivato  dalla trapuntatura che lo caratterizza (ulteriori dettagli nell’articolo di Tasha Kelly). Attestato con questo nome anche negli inventari trecenteschi in francese di casa Savoia (Pisetzky II, 33), questo capo di abbigliamento ha in Italia nomi diversi: lo si può trovare indicato come “farsetto” soprattutto in area toscana, in riferimento alla farsa, cioè all’imbottitura, che lo caratterizza, mentre nell’Italia settentrionale è più spesso chiamato “zuppa”, “zupparello”, “giubba”. Volendo individuare una ulteriore sfumatura terminologica, sembra che i farsetti siano spesso bianchi, realizzati con panno di cotone o misto, raramente indossati a vista in quanto considerati un capo intimo, mentre le giubbe sono spesso realizzate in materiali più pregiati, serici, cioè sciamito, zetanino, velluto o più spesso zendado (Pisetsky II, 33s.). La nostra “giubba” dunque è un capo maschile piuttosto ricco, diffuso in tutto il ‘300, caratterizzato da un’imbottitura solitamente di bambagia che sottolinea la figura con il petto pronunciato tipica del Trecento, ed è l’indumento al quale si attaccano le calzabraghe.

Guiron le Courtois, Milano, 1380-1390. 

The pourpoint or "giubba"
The garment we realized is usually called with the ranting name of
pourpoint, a name that probably comes from the latin perpunctus, “pierced through”, due to its typical quilting (see Tasha Kelly’s article for more details). Attested with this name also in 14th century inventories of House Savoia (Pisetzky II, 33), written in French, in Italy this garment has different names: it’s called "farsetto" mainly in Tuscany, reffering to the "farsa", i.e. the padding material, while in Northern Italy it’s more often called “zuppa”, “zupparello”, “giubba”. Searching for a more specifical meaning for this words, it seems like "farsetti" were more often white, made in cotton fabric or mixed fabric (linen/cotton), rarely worn on-sight because they were considered undergarments, while "giubbe" where usually realized in expensive materials, i.e. different kinds of silks, like "sciamito", "zetanino", velvet, or, the most common, "zendado" (Pisetzky II, 33s). So our “giubba” is a quite rich male garment to which the hoses were fastened, used through the whole 14th century, usually padded with cotton tow to emphasize the dove-like male chest, so appreciated in that period.


Il modello, i materiali e la realizzazione
Non essendomi mai confrontata con una sfida del genere, non me la sono sentita di progettare un pourpoint partendo da zero: abbiamo allora deciso di acquistare il libro di Tasha Kelly sul pourpoint di Charles de Blois, nel quale, oltre a una descrizione dettagliata dei passaggi da seguire, si trova anche il prezioso cartamodello. Una volta realizzato il provino e fatti i necessari aggiustamenti, abbiamo lasciato qualche centimetro di margine per l’imbottitura: se volete fare un calcolo più preciso, guardate qui. Abbiamo poi tagliato i singoli tessuti, sovrapposto tutti i pezzi e iniziato il lavoro di trapuntatura, prima di cucire insieme le parti. L’imbottitura è costituita da un solo strato di bambagia su tutto il corpo, mentre è doppia sul petto.
I materiali:
- lino bianco per fodera del pourpoint
- bambagia per l’imbottitura: dal reperto e dai molti statuti dei farsettai risulta che l’imbottitura dovesse essere fatta principalmente utilizzando proprio la fibra grezza del cotone.
- seta per l’esterno: è seta sottile con tessitura piana, con trama gialla (con fili più spessi) e ordito bordeaux, con circa 36-40 fili/cm: le caratteristiche della seta sono simili a quelle riscontrabili in alcuni dei reperti di Londra. 
Le cuciture interne sono realizzate in filo di lino bianco, mentre quelle visibili in filo di seta.
 

The model, the materials and the process
Since I never undertook such a challenge, I decided not to start the tailoring from the beginning. We bought Tasha Kelly’s book  about Charles de Blois pourpoint, which features the instructions and a really good pattern. We realized the toile, made some adjustments and left some extra fabric for the padding: if you want to know exactly how much fabric you have to leave, see here. We cut the different fabrics and padded them all together. The padding consists in 1 layer of cotton tow over all the body, while it’s 2 layers on the chest. 
The materials:
- White linen for the lining
- Cotton tow for the padding: from the original finds and many rules of the "farsettai" (doublet makers) guilds in Italy it’s known that cotton tow had to be used for the quilting.
- Silk for the outer layer. It’s a thin tabby silk, with a yellow warp (with thicker threads) and a Bordeaux weft, with about 36-40 threads/cm: the features of this silk are quite similar to some of the findings from London.
The inner seams are made in white linen, while the visible ones are in silk. 





Bottoni speciali 
I bottoni del pourpoint di Charles de Blois sono in stoffa o in legno ricoperto, ma per questo aspetto ci siamo distaccati dal modello, e per “semplificarci la vita”, abbiamo realizzato i bottoni noi stessi, grazie alla progettazione e sotto la guida di Nicola Tonelli di “Il Gatto e la Volpe”. A vederli, sembrano bottoni normali, ma la caratteristica che li rende speciali è che sono cavi: nascono infatti da due semisfere di lastra di bronzo, saldate insieme e completate dal gambo. Questa tipologia di bottone, anche se poco riprodotta nel mondo della rievocazione, sembra essere molto diffusa in Italia, come confermano anche alcuni ritrovamenti basso-medievali della nostra area. Nonostante i tempi di produzione siano molto più lunghi di quelli richiesti dai normali bottoni a fusione, permettono un notevole risparmio di materiale e hanno anche il vantaggio di non appesantire l’abito (ognuno dei nostri bottoni pesa meno di 1g). Sul pourpoint ne abbiamo messi 85.

Special buttons
Charles de Blois original buttons are made in fabric or have a wood core, but we decided to make them in a different way. To “make our life easier”, we made the metal buttons ourselves, thanks to the project and support of Nicola Tonelli from “Il Gatto e la Volpe” .  If you only look at them, they look like normal buttons, but their special feature is that they’re hollow: they are made from 2 hemispheres of bronze sheet, soldered together and completed with the loop. This kind of button, even if it’s not popular in the living history world, is very common in Italy, as some local late medieval finds from our area confirm. Despite the production time, that’s really longer than casted buttons, they allow to save a lot of material and don’t add much weight to the garment (every button weights less than 1g). On the pourpoint there are 85 of them! 







Le calzabraghe
All’interno del pourpoint originale sono ancora visibili i lacci ai quali erano attaccate le calzabraghe: sono 3 per ogni lato più 1 laccio al centro della schiena di cui non abbiamo capito precisamente lo scopo (forse serviva a tenere ferme al centro le due calzabraghe?). Nonostante l’idea iniziale fosse quella di rispettare la stessa posizione dei lacci dell’originale, non siamo riusciti a riprodurla fedelmente e le nostre calzabraghe quindi non coprono che parzialmente il sedere, mentre, a giudicare dai lacci, quelle indossate da Charles de Blois dovevano coprirlo quasi interamente. Un aspetto che ritenevo importante era che tra il pourpoint, corto per sua natura, e le calzabraghe non fossero visibili le braghe, dal momento che sono spesso a vista nelle ricostruzioni ma quasi del tutto assenti nelle fonti iconografiche. Ritengo che le critiche dei moralisti dell’epoca rivolte a queste “braghe” a vista siano più che altro da intendere come critica all’accorciarsi progressivo delle vesti a cui si assistè nella seconda metà del secolo, ma non ritengo che le braghe a vista fossero di per sè un elemento apprezzato, data la loro quasi completa assenza nell’iconografia (quando sono presenti inoltre identificano personaggi poveri, con gli abiti laceri). Per ottenere la massima aderenza possibile della calzabraga alla gamba, abbiamo tagliato la lana di sbieco, ma non essendo sufficientemente elastica abbiamo dovuto lasciare aperta la cucitura della parte inferiore del polpaccio, che viene dunque cucita ogni volta che le si indossa: pur non essendo una soluzione ottimale, non ci è sembrata del tutto improbabile, dal momento che la cucitura non è un processo così lungo come potrebbe sembrare (non più di un paio di minuti) e che alcuni reperti della Groenlandia presentano comunque un’apertura dietro la caviglia, probabilmente per facilitare il passaggio del tallone. In ogni caso, molto probabilmente questo stratagemma può essere evitato utilizzando un twill o una lana più cedevole. La forma del piede è basata sui reperti di Londra e su alcune fonti italiane.



Hoses
Inside the original pourpoint are still visible the laces used to fasten the hoses: there are 3 on each side plus 1 in the middle of the back (we are not sure about its purpose, but maybe it was used to fasten both hoses together in the middle?). Despite the first aim was to reproduce the original placing of the original garment, we didn’t manage to and our hoses only cover the bottom partially, while, considering the placing of the original laces, Charles’ hoses must have covered his bottom almost completely. I wanted the braies not to be visible when wearing the short pourpoint and hoses: you can often see them during the living history events, but are never shown in pictures. I believe that the moralists who criticized these “visible braies” should be considered as a critic towards the upper clothes becoming shorter and shorter during the 2nd half of the century, but I don’t believe visible braies were themselves an appreciated element of fashion, since they are almost completely absent from sources (and also when they are shown they identify poor characters in rags). To have the hoses as fitted as possibile, we cut the fabric on the bias, but since it wasn’t enough stretchy we had to leave the seam open in the lower part of the calf, that is therefore sewn-on every time they are worn: even if it’s not the perfect solution, it didn’t seem completely impossible to us, since the sewing only requires a couple of minutes and some of the Greenland finds show an opening behind the ankle, probably to help the heel pass trough. Anyway, this opening would probably be unnecessary using a twill or a more elastic wool. The shape of the foot is based on the finds from London and some Italian sources. 

Le scarpe sono di Graziano Dal Barco / The shoes are made by Graziano dal Barco 


 Riferimenti e articoli correlati / References and related articles

Tasha Kelly:
Il libro di Tasha Kelly “The Pourpoint of Charles de Blois” / Tasha Kelly’s book “The Pourpoint of Charles de Blois” 

Altro / Other
La pagina dedicata a Todeschino sul nostro sito / The page about Todeschino in our website
Forum con discussione sulle calzabraghe e come evitare le braghe “a pannolone” / Forum with discussion about hoses and how to avoid “diaper look”.
Il Gatto e la Volpe”, riproduzioni storiche di oggetti metallici / “Il Gatto e la Volpe”, historical reproductions of metal items